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Educare con l’esempio. Gioie e dolori

Io e i bambini incrociamo il vicino di casa nel cortile, l’adulto signore dà il buongiorno aspettandosi una risposta in particolar modo dai piccoli. Emanuela risponde, Rocco no.

Non so se capita anche a te ma mio figlio Rocco, in generale, è un pò restio a salutare.

A volte mi trovo di fronte a persone che insistono nel salutare il bambino per la seconda, terza volta in cerca di una risposta a tutti i costi. Altre volte qualcuno lascia intendere che si deve risponde al saluto perché il non farlo è segno di maleducazione.

E’ un principio giusto? Un bambino che non saluta è da ritenersi maleducato?

Voglio capirci qualcosa in più. Entro nel mondo di Rocco.

Man mano che accade un episodio, subito dopo l’incontro con il non salutato di turno, gli chiedo cosa gli frulla per la testa.

Le sue risposte rimandano le sue sensazioni: Giacomo non mi piace, Mario non lo conosco, Antonio è vecchio, Anna è brutta. A volte mi dice che non gli va e basta.

I bambini vivono di percezioni. Ai loro occhi un paio di occhiali scuri, una barba irsuta, delle rughe in più o qualche dente mancante possono conferire un aspetto non gradevole. Li vogliamo condannare per questo? Vogliamo obbligarli a fare quello che la buona condotta prevede senza rispettare quello che sentono?

Ho smesso di interrogarmi. In fondo lo strumento educativo più potente, a volte sottovalutato, è l’esempio. I bambini fanno quello che vedono.

Ritornando al saluto, ho preferito lasciare a mio figlio la libertà di prendere confidenza con la società senza affrettare i suoi tempi. Probabilmente lui ha bisogno di più tempo per lanciarsi nei saluti sempre e comunque. Io, dal mio canto, non posso che dare il buon esempio salutando cordialmente il vicino di casa. Quando sarà pronto lo farà anche lui.

Il dare l’esempio vince sulla regola rispondi-al-saluto-sennò-sei-maleducato 1 a 0. Riprendiamo a giocare, palla al centro.

Dare l’esempio significa anche essere consapevoli dei propri comportamenti e delle parole pronunciate.

Quando la mia piccolina è entrata nella delicata fase dei “terrible two” ho cominciato a perdere la pazienza più spesso. Mi capitava di rimproverarle qualche modo di fare pronunciando il suo nome con aria seccata, lasciando trasparire tutto il mio disappunto.

La reazione era impulsiva, esplosiva, spontanea, non ragionata. Non avevo contezza delle mie maniere.

Un giorno poi mi sono ritrovata di fronte ad uno specchio alto circa un metro, di quatto anni e mezzo, di nome Rocco.

Rifletteva la mia immagine oggettiva, ripeteva le mie stesse parole, utilizzava il mio stesso tono.

O-mio-Dio!

Cara mamma Magda, fai attenzione a quello che dici e come lo dici. Ci sono occhi che guardano e orecchie che ascoltano, memorizzano e riproducono!

Se normalmente dico parolacce è presumibile che le dicano anche i miei figli.

Se ho l’abitudine di arrabbiarmi ed urlare contro i miei figli o se alla guida impreco contro un altro conducente alla presenza dei miei figli è altamente probabile che ripetano il comportamento con i loro coetanei e/o con me.

Ci sono i giorni in cui la tolleranza e la pazienza non sono particolarmente presenti. Ci sono giorni in cui non do il meglio di me. Sono un essere umano. Non sono perfetta, né ambisco ad esserlo.

L’importante però è ammettere che la responsabilità dei comportamenti sbagliati dei miei figli appresi da me è MIA.

Se mio figlio si è rivolto alla sorellina ammonendola con un tono infastidito non posso prendermela che con me stessa. Gliel’ho insegnato io…

Con il buono e il cattivo esempio è tutto, linea a voi.

 

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