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Le doglie di un parto indotto e l’entrata in azione dell’uomo tigre

Ero a 38+1, mi alzo per andare in bagno ed avverto una sensazione identica a quella del ciclo. Mi accorgo subito che quel liquido non poteva essere una mestruazione. Cacchio ma queste sono le acque! Scendevano. Lente, lente. Oddio, ci siamo. Oddioooooooooooooo.

“Amore mi si sono rotte le acque, adesso consumo la colazione, mi faccio una doccia ed andiamo in ospedale”. Mio marito fa un balzo dal letto e sembra essere già lavato, vestito e in macchina pronto per andare alla volta dell’ospedale Madonna delle Grazie!

Visita, attesa nella prima stanza, spostamento nella seconda stanza, visita, attesa. Il tempo scorre e le contrazioni erano irregolari e morbide. Dopo 12 ore dalla rotture delle acque un’altra visita. Collo dell’utero piatto. Stimoliamo le contrazioni con la fettuccina.

La fettuccina stimola delle contrazioni forza 9: incalzanti, violente, vigorose. Il peso del dolore era schiacciante. Più cercavo di combatterlo, più mi annientava.

Visita: dilatazione quasi inesistente.

Nuova ondata di contrazioni burrascose.

Visita: dilatazione di un centimetro e mezzo. Vado in crisi.

Ero sempre più priva di forze fisiche e mentali e nutrivo sempre meno la fiducia di riuscire a non morire. Prego, stringo i denti, sopporto ma il tempo passa e le energie scarseggiano. La crisi cresce.

Flebo per calmare le contrazioni. Momento di contrazioni forza 6 e sonnellino. Sì, hai letto bene: ho dormicchiato tra una contrazione e l’altra.

Dopo che l’effetto della flebo è cessato è partito il travaglio attivo.

Contrazioni forza 8. Ravvicinate. Intense. Stancanti. Non nutrivo speranze di arrivare viva a 10 centimetri di dilatazione.

Mio marito, che fino a quel momento era stato lì, presente, in silenzio, vedendomi così provata mi dice: “ce l’hanno fatta tanti fessi e mò vuoi vedere che non ce la farai tu?”

Quella frase, in quel dato momento, era ciò di cui avevo bisogno.

Con quelle parole il mio orgoglio di donna e mamma è entrato in scena vestito da uomo tigre. Tigre – tiger man, tigre – tiger man, tigre – tiger man!

Quell’espressione banalissima, detta con grande semplicità, al momento giusto, dopo un’attenta osservazione ha attivato l’interruttore che ha sbloccato il loop in cui ero entrata.

L’uomo tigre ha combattuto contro i miei pensieri, non contro le contrazioni. Quel volerle gestire con forza e controllarle non mi stava facendo bene. Le contrazioni erano funzionali, non dovevo pretendere di eliminarle. Continuando a credere di tenerle sotto il mio controllo mi stavo logorando!

Libero sfogo alle contrazioni, che il travaglio abbia inizio!

Da quel momento è cambiato tutto dentro me e fuori di me.

Dilatazione 8. Ottimo, siamo sulla strada giusta.

Ma poi… Colpo di scena: mio figlio ha cominciato a spingere. La dilatazione era a 8. Come si fa?

Più di una persona mi ha aiutata ad arrivare in sala parto. Non riuscivo a camminare.

In sala parto. Sul lettino.

Mio marito alla mia destra aiutava attivamente la ginecologa che gli dava istruzioni.

La ginecologa alla mia sinistra dava istruzioni a mio marito e a me.

Poche spinte energiche, l’urlo di Tarzan e arriva Rocco.

Lo poggiano sul mio petto. Piango a dirotto.

In quell’istante nasce un figlio, nascono una mamma, un papà, dei nonni e degli zii.

Benvenuto al mondo cucciolo adorabile. Ti stavamo aspettando.

Quanto è inutile esercitare il controllo in ogni occasione. Ci sono dei processi dove il controllo va allentato. Lo so, è difficile, non viene spontaneo soprattutto quando si prova un dolore. Quando si soffre si tende a rifuggire dal dolore o a negarlo. A volte però si deve rimanere nel dolore, accettarlo e farsi attraversare da esso.

E tu? Come hai vissuto il dolore del tuo parto?

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